La generazione dei NEET


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La parola NEET, dall'inglese: "Not in Education, Employment or Training", si riferisce ad una categoria di persone di età tra i 15 e i 40 anni (a volte anche 60) che non lavora, non studia e non è impegnata in nessuna attività.

30/01/2020 | 16:00

LA GENERAZIONE DEI NEET, ovvero:

“Non studio, non lavoro, non guardo la tv, non vado al cinema, non faccio sport”.  

La parola NEET, dall’inglese: “Not in Education, Employment or Training”, si riferisce ad una categoria di persone di età tra i 15 e i 40 anni (a volte anche 60) che non lavora, non studia e non è impegnata in nessuna attività. Questi giovani sono esclusi da qualsiasi impegno sociale, ritirandosi nella propria abitazione o addirittura nella propria stanza (vedi la sindrome di Hikikomori), impegnati nei loro inconcludenti interessi. L'età dei NEET è variabile, di solito coincide con la fine della scuola dell'obbligo, nel passaggio tra nido e mondo esterno. Ci sono persone che possono essere definite NEET a 15 anni, altre a 40 e più, non ci sono rilevanti differenze tra maschi e femmine.

Com’era prevedibile, l’Italia è in Europa, il paese con più elevata percentuale di NEET, seconda solo alla Bulgaria. Il soggetto NEET vive ancora coi genitori, non ha bisogno di molti soldi, se non per le faccende personali quotidiane, le spese grosse (tasse, medici, ecc.) sono coperte dai genitori. Spesso riceve ancora la paghetta a 30 anni, a volte, racimola qualcosina con lavoretti part time o stagionali. Riesce a risparmiare come una formichina, è molto attento alle spese che fa, non rinuncerebbe mai però alle sue piccole passioni (per chi le ha), queste possono variare molto a seconda dei soggetti: fumetti, gadgets spesso inutili, internet, lo stadio, la bolletta, la playstation, a seconda del retaggio culturale e sociale. Hanno un peso enorme sul bilancio economico generale, infatti, consumano molto ma non producono affatto, né in termini di beni materiali né di creatività artistica o culturale. Ci troviamo di fronte ad un nuovo stile di vita, non una vera patologia, ma l'espressione di disagio interno frutto di tratti di personalità cronicizzati (narcisismo covert, evitante, schizoide).

Non chiamateli fannulloni e nemmeno sognatori, non sono idealisti e nemmeno “cocchi di mamma”, è una fase dolorosa della loro vita , non sono adolescenti ma nemmeno giovani uomini, non si sposano ma non riescono a stare soli, hanno tante conoscenze ma nessun amico vero. Non hanno sogni né rimpianti, non sperano per il futuro, non si guardano mai indietro, non hanno reali interessi, vivono alla giornata, il loro presente è immutabile, per loro il tempo si è fermato, vivono tra centri scommesse, fumetterie e ore passate al bar senza consumare, perché i soldi sono pochi. Non si sentono falliti perché non hanno mai inseguito nulla, non hanno desideri, non hanno rimorsi e non hanno risorse, non sanno cosa vogliono e non lo riescono a sapere, amano lo sport ma non lo praticano. Non si drogano, a volte moderatamente bevono, fumano poco o niente, per loro il sesso è sul pc, non si divertono, ma spesso ridono, hanno un gergo  e un linguaggio tutto loro, aspettano con ansia il sabato sera per poi non fare niente. Ogni giorno è uguale, in un'attesa inerte e un vuoto esistenziale che non riconoscono nemmeno (se ci riuscissero sarebbe già un primo passo verso lo stare meglio, ma all ostesso tempo sarebbe una minaccia a questo complesso e cronicizzato meccanismo adattivo), non riescono a dare un senso alla loro vita. Si tratta di una gioventù prolungata e vuota, anime perse figlie dei tempi postmoderni, poveri disperati nati e cresciuti in modi sbagliati.

 

Tra le cause, fattori familiari e sociali, nei decenni precedenti, la cerchia di rapporti sociali si è stretta sempre di più, prima si guardava la tv in gruppo, si viveva il cortile, la strada, oggi già i bambini hanno la tv, il pc o la playstation in camera, non ci si parla in ascensore e non si conoscono i propri vicini. I genitori non vivono i figli, non ci sono fratelli e sorelle ma tanti figli unici e spesso i padri trascorrono con essi brevi momenti. Quando questi bambini diventano adulti, non sono preparati ad un mondo esterno, vissuto solo virtualmente, la società è competitiva, una giungla, richiede flessibilità e adattamento, rende difficile la vita ai giovani. I genitori proteggono i propri figli adulti, i quali invece, dovrebbero essere supportati più che coccolati. Si vive pertanto, l’età tra i 20 e i 30 come un periodo di eccessiva leggerezza e di estrema libertà, senza concludere nulla.

Abbiamo quindi, una nuova forma di adulto-giovane o giovane-adulto, che, concluso il suo percorso di studio (se ci riesce), si ritrova ad essere troppo giovane per entrare in una categoria, quella dell’adulto, ma, nello stesso tempo, troppo vecchio per essere considerato un ragazzo, sono soggetti, non in grado di essere socialmente attivi.

Proviamo tanto dispiacere per i NEET e non astio o avversione.