Cosa sta succedendo e perché


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Genitori freddi, distanti, ostili o anche troppo accondiscendenti, troppo centrati su se stessi e sui propri desideri o bisogni, non consentono al bambino di sperimentare o di elaborare emozioni negative come la tristezza, la rabbia, la sofferenza, la frustrazione o la paura.

30/01/2020 | 16:00

 

Ogni giorno la cronaca parla di tanti atti brutali e ci si chiede spesso: “Ma come è possibile? Ma come si fa a fare una cosa del genere?” Adolescenti che si uccidono tra di loro, ragazzini che danno fuoco a un vecchio ridendoci sopra (Kubrick nel film “Arancia Meccanica” aveva previsto tutto), criminali che uccidono per poche centinaia di euro,  atti omofobici o di bullismo estremo, vicini di casa che si picchiano o si ammazzano per sciocchezze, ma anche semplicemente risse o accoltellamenti per un parcheggio conteso o un segnale di stop non rispettato.

Cose del genere avvengono anche a causa del fatto che queste persone, bambini, adolescenti o adulti, hanno gravi deficit di empatia, non riconoscono le emozioni negli altri e quindi non hanno idea delle conseguenze che le  loro azioni possono avere sugli altri. Agiscono in preda ad uno shock emozionale senza comprendere cosa sta accadendo, cosa accadrà dopo e senza avere un’idea della sofferenza che arrecheranno. E’ lo stesso processo mentale che ha luogo nei bulli, negli stalker, nei violenti, nei narcisisti incalliti, nei criminali o nei serial killer. Si attiva un sistema molto primitivo, primordiale, “rettiliano”, (zone del cervello differenti)  mentre la consapevolezza emotiva è assente o poco attivata.

L’empatia, ovvero la capacità di riconoscere e comprendere le emozioni, è un’abilita che viene appresa nei primi anni di vita grazie agli scambi affettivi coi genitori. Anche molti animali ce l’hanno.

Genitori freddi, distanti, ostili o anche troppo accondiscendenti, troppo centrati su se stessi e sui propri desideri o bisogni, non consentono al bambino di sperimentare o di elaborare emozioni negative come la tristezza, la rabbia, la sofferenza, la frustrazione o la paura.

Ma soprattutto questi bambini acquisiscono ed interiorizzano il modello genitoriale che dice che la tristezza, la vergogna, il senso di colpa, la paura, la pena, la pietà, eccetera non vanno bene, il messaggio implicito è: “se provi queste emozioni e le manifesti allora sei debole, sbagliato, scarso, inadeguato, fesso”.

I genitori sono i primi a non farlo, sono superficiali, non si sforzano di comprendere cosa passa nella testa dei figli, non si chiedono cosa provano i figli ma nemmeno loro stessi.  I figli apprendono imitando i genitori,  se queste persone non hanno le capacità di riconoscere e di esprimere le proprie emozioni come possono leggere quelle degli altri? Essi non leggono la sofferenza nei volti degli altri, non capiscono che l’altro sta soffrendo, non ci riescono, non ne hanno la capacità, per loro è come leggere un libro in una lingua sconosciuta.  

In realtà non c’è niente di male a provare paura o tristezza, spesso però i genitori minimizzano queste emozioni nei loro figli (“non piangere, non aver paura, sei cattivo, non essere stupido, sii forte, ecc.”), oppure non le vogliono, o non sono capaci di riconoscerle.

Non c’è niente di male neanche se a provare emozioni è un’altra persona, invece spesso chi lo fa, è visto come una persona difettosa, debole, inferiore o diversa dai suoi simili.

In casi più estremi, nei figli di genitori violenti o abusanti, avviene una cosa diversa, in questi casi il bambino impara che la violenza o l’abuso, il tiranneggiare, siano le uniche forme di accudimento e gli unici modi che la persona conosce per entrare in contatto con gli altri. E’ una modalità di attaccamento perversa ma è pur sempre una modalità di contatto, l’uomo è un animale sociale e ne ha bisogno. Dato che la violenza è l’unico tipo di attenzione che lui ha ricevuto, la replica, anche in questo caso lui non sa fare altro.

La famiglia e la scuola dovrebbero allenare i bambini a identificare, accettare e tollerare le proprie emozioni, anche quelle negative, comprenderle e ascoltarle,  a sviluppare empatia e cooperazione con gli altri, invece i genitori vogliono figli assolutamente “superfighi”, superdotati o a loro immagine, mentre invece la scuola vuole completare i programmi senza troppi ostacoli o troppe seccature.