Le terapie online: quello che accade attraverso uno schermo


news_cover
Le terapie online stanno prendendo sempre più piede, adeguandosi così ai tempi e riducendo le distanze, accedendo a professionisti anche geograficamente lontani.

29/05/2020 | 18:18

Si suggerisce l’ascolto del brano “Astradyne” (Ultravox, 1980) durante la lettura.

Negli ultimi anni si sta diffondendo la cultura di incontri e relazioni nate e coltivate attraverso i preziosi mezzi che l’era digitale offre. Lo sanno bene le coppie che si conoscono, fidanzano o si lasciano tramite Whatsapp, oppure amici, coniugi, genitori e figli, partner e amanti che vivono lontani e che si scambiano lunghi messaggi amorosi o litigiosi, che si trovano costretti a ricorrere ad infinite videochiamate emotivamente molto intense e cariche.

Nuove frontiere della psicoterapia
Alla luce di questa tendenza anche la psicoterapia si è adeguata, ma ci sono ancora tanti dubbi sulla terapia on-line. Si crede che non favorisca un’adeguata vicinanza emotiva interferendo con i processi empatici alla base di outcames positivi. Considerando la maggiore familiarizzazione delle nuove generazioni (nativi digitali) con i device informatici (videochat, multiplayer in real time dei videogiochi, whatsapp, ecc.), si potrebbe pensare che il problema della supposta ridotta empatia, possa essere percepita maggiormente dai cosiddetti ibridi o migranti digitali. Insomma forse per un paziente o un terapeuta giovane non c’è molta differenza tra sedute Skype o di persona, perché, in qualche modo, è già avvezzo a esprimere aspetti intimi, personali, emozionali con queste modalità!

Si definisce “empatia digitale” la capacità di prendersi cura degli altri, nonché esprimere in modo immediato pensieri, emozioni e sensazioni mediante canali digitali, senza gli specifici indicatori di empatia sociale caratteristici delle modalità tradizionali di interazione (Terry, Cain, 2016). Alla luce di tutte queste considerazioni, allora, la distanza relazionale nelle sedute Skype, forse, è più percepita che reale ed infatti sembra che la Psicoterapia tramite video (VCP: Videoconferencing Psychotherapy) funzioni al pari delle terapie standard, faccia a faccia, con diverse tipologie di utenza (Backhaus et al., 2012).

Psicoterapia on-line: possibile risorsa?
Ammetto che io stessa ne ero perplessa. Mi dicevo che sarebbe stato complesso gestire la relazione, che la connessione sarebbe saltata nei momenti meno opportuni e che le condizioni della luce non avrebbero favorito un bel niente. Mi chiedevo come avrei potuto sentire tutte quelle cose che si muovono nella pancia quando hai un paziente ad un metro di distanza in carne ed ossa, quando ne senti il profumo della pelle, quando riesci ad intravedere il luccichio negli occhi o il rossore sulle gote appena prima di pervadere tutto il volto. Poi un giorno, impossibilitata a raggiungere la mia terapeuta, abbiamo utilizzato Skype e non è andata così male. Successivamente, alcuni pazienti si son dovuti trasferire per lavoro, la terapia era nel vivo del suo ciclo di vita ed abbiamo deciso di continuare, grazie ai preziosi mezzi della tecnologia. Superando le mie perplessità, ho scoperto che le videochiamate possono addirittura essere una risorsa. I motivi sono vari ed ora li spulciamo insieme.

Nel focalizzarmi sulla immagine dello schermo, in un quadrato piccolissimo in alto a destra, ho notato che c’ero io riflessa e potevo scrutare esattamente tutte le mie smorfie, espressioni, il mio modo di gesticolare. Ecco la prima risorsa delle sedute on line: il terapeuta può guardarsi, monitorare il suo stato interno. Ricordo che un tempo lessi un articolo sulla Self Mirroring Therapy (SMT) (Vinai & Speciale, 2013) e pensai che registrare e poi osservare le sedute fosse un lavoro davvero interessante. Con Skype lo si può provare a fare in “real time”. La propria espressione facciale diventa un feedback molto importante e soprattutto ricchissimo di informazioni relative alla relazione con il singolo paziente o a quello che accade nella mente del terapeuta. Allora mi sono incuriosita ed ho cominciato a vivermi le sessioni via Skype con uno spirito diverso. All’inizio mi sembrava difficile condurre la seduta, focalizzarmi sul paziente e anche su quel piccolo rettangolino che mi conteneva, che avrei addirittura potuto spostare o ingrandire per guardare meglio, poi ho capito che avrei potuto fare entrambe le cose contemporaneamente e che questo avrebbe condotto ad un patrimonio ricco di informazioni. Avrei potuto anche aiutare il paziente ad ancorarsi al suo non verbale. Come non pensarci prima? Ad esempio, M. ha osservato, grazie al mio suggerimento, quel sopracciglio destro, che assume una vita tutta sua, ogni qual volta mi narra una scena in cui l’altro la umilia. Ecco la seconda risorsa: anche il paziente può osservare meglio le sue espressioni facciali.

Guardarsi mentre il volto esprime, in modo non verbale, una certa emozione attiva i neuroni specchio. Tale processo favorisce un maggior riconoscimento dell’esperienza emotiva senza effettuare un lavoro autoriflessivo, perché, proprio per le caratteristiche intrinseche del sistema mirror, si attiva un riconoscimento preriflessivo, immediato ed automatico. Di conseguenza, però, riflettere consapevolmente su questi processi favorisce una maggiore conoscenza autoriflessiva in termini cognitivi ed emotivi. Ciò accade sia scrutando l’altro, sia quando osserviamo il nostro stesso volto impegnato ad esprimere una certa emozione: l’attivazione neuronale permette un riconoscimento viscerale, corporeo, motorio, oltre che cognitivo-semantico, che coinvolgono aree neuronali attive quando noi stessi proviamo quella emozione. Questo è ciò che si chiama “simulazione incarnata” (Shapiro, 2007), strettamente legata all’empatia e alla simpatia interpersonale.

Che valore hanno le informazioni perse?
C’è un punto che resta un po’ in ombra: e il resto del corpo? Questo aspetto forse effettivamente si perde un po’. Gli autori di questo articolo hanno opinioni leggermente diverse e non sveliamo chi dei due la pensa in un modo piuttosto che nell’altro. Lasciamo la questione aperta e ci impegniamo a rifletterci su per futuri confronti: il fatto che il paziente non veda che stiamo giocherellando con l’orologio o che stiamo seduti sul bordo della poltrona in modo eccessivamente rigido, dopo quel determinato episodio narrativo, è un bene o un male? Chi dei due crede che possa essere un bene, argomenta questa posizione sostenendo che in questo modo evitiamo che il paziente possa costruirsi una rappresentazione mentale del terapeuta schema-guidata. Per l’altro autore è l’esatto contrario, credendo, anzi, che tutti questi elementi sono fondamentali nella seduta, soprattutto se vengono portati a galla, metacomunicati ed incorniciati assieme.

Sembra quasi che tra i due autori ci sia chi voglia proteggere il paziente e chi crede che così facendo perda una porzione notevole di informazione! Certo è che il nostro volto ed il nostro corpo possono trasmettere sicurezza o minaccia, e non sempre ci rendiamo conto di quel che accade. Le microespressioni facciali, le pieghe muscolari del volto, i piccoli momenti di distrazione o di perdita del contatto visivo del terapeuta sono spesso inconsapevoli e vengono “captati” in modo ugualmente inconsapevole dal paziente, assieme a tutti altri aspetti verbali e corporei. Gli stimoli sensoriali percepiti sono procedurali e attivano le memorie associate del paziente e le rappresentazioni dell’altro (Dimaggio, Popolo, Ottavi, Salvatore, 2019).

Psicoterapia on-line e le sue potenzialità
Poter osservare le nostre espressioni tramite Skype e modularle, può aiutarci a offrire maggiori segnali di ingaggio, facendo sentire il paziente al sicuro e questo può tradursi in un volto più rilassato o in un cambiamento nella frequenza delle vocalizzazioni (Porges, 2018). Dal vivo lo possiamo notare e rimandare al paziente, durante una video-seduta lo possiamo far constatare proprio mentre accade, potendo esplorare ed accedere a contenuti mentali rilevanti. Certo, il terapeuta esperto dovrebbe essere abituato a cogliere ogni suo coping corporeo, come muovere un piede, serrare le mascelle, bruxare o giocare con le dita, tutti gesti che rappresentano un adattamento o una gestione di suoi stati interni.

Durante una seduta dovremmo ascoltare il paziente su un piano di realtà e tradurre tutto in “psicologese”, al contempo dobbiamo tenere d’occhio il suo corpo e i suoi stati emotivi interni, fare interventi tecnici, ricostruire schemi e funzionamenti, osservare le nostre reazioni, riconoscere i nostri schemi, le nostre emozioni e i nostri coping corporei. Tanta roba e tutto da soli. Perché non approfittare di un piccolo aiuto? Magari grazie della “reverse camera” di Skype? I piccoli movimenti che noi attuiamo come cambiamenti posturali, piegamenti del tronco in avanti o all’indietro, movimenti del capo, mandano continuamente informazioni al cervello, sia in chi li attua che a chi li riceve, e queste informazioni si traducono in segnali che producono cambiamenti nell’altro e in noi stessi (Porges, 2014). Ecco un’altra risorsa: il terapeuta può riconoscere l’attivazione di un suo coping somatico e procedurale cogliendolo in diretta e può consapevolizzarlo, notando che sta succedendo qualcosa dentro di sé o con il paziente e può, forse, perfino ipotizzare cosa sta provando il paziente e perché. Identificare e modulare tutto questo favorisce una maggiore sintonizzazione e di conseguenza una relazione terapeutica più salda.

Alla luce di tutte queste osservazioni e grazie anche alle conclusioni di studi scientifici che cercano di provarne sempre di più l’efficacia, segno di maggiore predisposizione alla questione, le terapie online stanno prendendo sempre più piede, adeguandosi così ai tempi e riducendo le distanze, accedendo a professionisti anche geograficamente lontani. Siamo certi che una delle ripercussioni notevoli risiede nella possibilità di svolgere sedute di terapia, in pieno agosto, senza scarpe.

Indiscutibile opportunità anche per i pazienti.

Di Virginia Valentino & Vito lupo

Bibliografia:


Backhaus A., Agha Z., Maglione M. L., Repp A., Ross B., Zuest D., Rice-Thorp N. M. (2012). Videoconferencing Psychotherapy: A Systematic Review. Psychological Services, 9(2), 111–131.


Dimaggio, G., Ottavi, P., Popolo, R., Salvatore, G. (2019). Corpo, immaginazione e cambiamento. Terapia metacognitiva interpersonale. Milano: Raffaello Cortina.


Porges S.W. (2014). La Teoria Polivagale: fondamenti neurofisiologici delle emozioni, dell’attaccamento, della comunicazione e dell’autoregolazione. Roma: Giovanni Fioriti  Editore.

Porges S.W. (2018). La guida alla teoria polivagale. Il potere trasformativo della sensazione di sicurezza. Roma: Giovanni Fioriti  Editore.


Shapiro L., 2007. The Embodied Cognition Research Programme», Philosophy Compass, 2, 2, pp.338-346.


Terry C., Cain J. (2016). The Emerging Issue of Digital Empathy. American Journal of Pharmaceutical Education, 80(4), 58.


Vinai, P., Speciale, M. (2013) “Il colloquio nella Video-Based cognitive Therapy” in G. Ruggiero, S.Sassaroli ” Il colloquio in psicoterapia cognitiva” RaffaelloCortina, Milano.